martedì 13 dicembre 2011

IL PROBLEMA


La Corte europea  di Lussemburgo, il 18 ottobre 2011 (sentenza C-34/10* ), si è espressa in merito alla domanda presentata dalla Corte federale tedesca di Cassazione, alla quale si era rivolto il ricercatore tedesco Oliver Brüstle. Questo scienziato richiedeva che fosse ritirata la sentenza che gli impediva di utilizzare i suoi brevetti.




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Molto probabilmente Oliver Brüstle, quando nel 1997 depositò il suo brevetto, non avrebbe mai immaginato di creare una tale controversia: semplicemente si era limitato a ricercare una possibile cura contro il morbo di ParkinsonIl brevetto riguardava un trattamento fondato sull'uso di cellule progenitrici neurali isolate e depurate, ricavate da cellule staminali embrionali umane allo stadio iniziale di blastociti, ovvero a cinque giorni dalla fecondazione.
I  problemi per questo scienziato iniziarono quando Greenpeace fece ricorso al tribunale tedesco per l’annullamento del brevetto e, dopo una prima sentenza a suo sfavore, lo scienziato decise  di fare ricorso in Cassazione tedesca, che, trovandosi in difficoltà, decise di rivolgersi alla Corte europea.


 La Corte però decise di rigettare il ricorso dello scienziato, esprimendosi in questi termini: “Sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un “embrione umano” dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano” (normativa europea 98/44/  CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche).
In questo caso, tutta la questione gravita attorno alla definizione che si vuole dare del termine “embrione”, e qui la Corte intende il termine in senso lato; può quindi essere definito come tale:
-   un embrione non fecondato alla quale sia stato impiantato una cellula umana matura, oppure
-  - l’ovulo umano non fecondato il quale però è stato indotto a svilupparsi tramite partenogenesi (riproduzione sessuale “asessuata” perché comporta la  formazione di gameti, senza la fecondazione).
   Se si legge attentamente la sentenza, la situazione si complica quando si affronta il secondo punto: "Spetta al giudice nazionale stabilire, in considerazione degli sviluppi della scienza, se una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti costituisca un «embrione umano»". In sostanza in un primo momento la Corte elimina ogni possibilità di brevettatura, ma successivamente anche se in modo non esplicito rigetta la decisione ai singoli giudici nazionali.


 La Corte ha inoltre ritenuto opportuno chiarire che tale sentenza vale anche quando il brevetto ha come scopo la ricerca scientifica (non solo fini commerciali o industriali), per il semplice fatto che, nel momento in cui si è scelto di legare un’invenzione ad un brevetto, questo implica, in linea di principio, un possibile sfruttamento commerciale ed industriale della stessa ( nessuna casa farmaceutica sceglierebbe di investire soldi in qualcosa che non può usare a fini di lucro). Per questo motivo anche la ricerca scientifica non può avvalersi della protezione dei “diritti dei brevetti”.

L’unico spiraglio possibile, l’unico che viene lasciato dalla sentenza, appare quando il brevetto sia rivolto a fini terapeutici o diagnostici dell’embrione umano stesso. In altre parole , la Corte sostiene che un'invenzione non possa essere brevettata quando l’attuazione del procedimento richieda la distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza.


*http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=111402&pageIndex=0&doclang=it&mode=doc&dir=&occ=first&part=1&cid=554003

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